OLINDO RAMPIN | Càpita che spettacolo e sala teatrale si méntano a vicenda, o meglio si dispongano in una relazione anomala, disallineata, non per questo meno attraente. Ad Ancona l’apertura settembrina ed “evento speciale” della Stagione 2025/26 di Marche Teatro diretto da Giuseppe Dipasquale è U. (Un canto) di Alessandro Sciarroni, artista associato del consorzio di organismi teatrali marchigiani che fin dal 2008 ne produce le creazioni (lui stesso è nativo di San Benedetto del Tronto).

Sotto la parvenza di una raccolta di canti corali composti tra la metà del secolo scorso e i giorni nostri, U. (Un canto) si rivela come un “ambiguo” florilegio di “inni sacri”, di invocazioni e ascensioni dell’anima in forma canora, interpretati ma meglio “rivissuti” da sette performer, sette giovani antichi e moderni, desituàti in uno spazio, il Teatro sperimentale, che ha le sembianze rétro dei gloriosi cinema-teatri degli anni ‘60, nel design quasi commovente dell’insegna luminosa esterna, dei lampadari a goccia, dei drappi di velluto azzurro alle pareti, del soffitto di ceramiche bianche stampate.

Non sarà un caso che quei giovani cantori-interpreti siano sette, e non quattro come i Musicanti di Brema: sette come i sette giorni della creazione, come i sette sacramenti, o come le sette trombe dell’Apocalisse. L’espressione rapìta, i sorrisi ispirati, da anacoreti, Raissa Avilés, Alessandro Bandini, Margherita D’Adamo, Nicola Fadda, Diego Finazzi, Lucia Limonta, Annapaola Trevenzoli si isolano dal pubblico, come chiedeva ai suoi attori Stanislavskij buonanima, e così rivivono il sogno di una vita felice nell’esecuzione a cappella di versi intonati a un innocente, quasi infantile panismo: pietà, perdono, ripresa di contatto con la natura, ma anche con il cuore.

(foto Andrea Macchia)

Non è sentimentalismo. Del resto il miglior poeta italiano della prima metà del Novecento, da un’altra città di mare sulla sponda opposta, quella nord-orientale, dell’Adriatico, non aveva scritto che la rima “fiore/amore” è «la più antica difficile del mondo»? Va da sé poi che quella natura è anche la Natura con la N maiuscola, è la Terra-Madre delle religioni dell’età magica, delle società primitive (ma primitivista e irrazionalista, consapevolmente o meno, è un pezzo non inconsistente della scena degli ultimi decenni). È il Creato insomma, secondo una postura che, se certo non è confessionale, da religione rivelata, è però decisamente deistica, di un deismo di forte impronta anti-materialistica e religiosizzante.

Non è priva di arguzia la traiettoria caparbiamente sottrattiva di un’anti-performance fatta in apparenza di nulla, in realtà incardinata sull’ardua gestione, più ardua del canto stesso, di una staticità fisica tutta implosa. Nella sottrazione di ogni apparato e appoggio interpretativo, cinetico, coreutico, scenografico, nel dosaggio calibrato di silenzi e pause che moltiplicano le risonanze sacrali di questa missa cantata. Questa operazione di teatro fisico-musicale in levare si è potuta realizzare anche grazie a un lavoro collettivo, in cui alla firma di Sciarroni si è unita la direzione musicale e del training vocale di Aurora Bauzà e Pere Jou, del training fisico di Elena Giannotti.

(foto Andrea Macchia)

Visualmente, i sette cantori si valgono dell’unico segno dei loro apparentemente casuali outfit, firmati da Ettore Lombardi, eleganti ma decostruiti, da beati lunatici: giacche a doppiopetto sciallato ma fuori taglia, giubbini di pelle second-hand, tutto nero come i Moon Boots, i camperos, i collant-gambaletti, i jeans, le cintole. Però t-shirt bianca con l’icona di Kurt Cobain, oppure camicie bianche con maniche troppo lunghe. E le coiffures, così graziosamente non glamour. Trattenuto e intenzionalmente controllato, come in un pianissimo, è anche il disegno luci di Valeria Foti, discreto ed esatto nel diffondere penombre differenti per intensità, origine e significato, e interrotte da improvvise trasparenze.

Cantano i sette “angioloni”, placidi e immobili per l’intera durata dello spettacolo. In questo auto-contenimento di ogni cinèsi, in questo esercizio di trance canora si inseriscono due lievissimi moti calcolatissimi, millimetrici, come nella degustazione-meditazione di un vino di gran pregio. Un lentissimo, cadenzato avanzamento verso il pubblico, e una conseguente inspirazione, nel silenzio di tutti, praticata dalla sola cantatrice centrale. Polo magnetico che ai suoi lati, destro e sinistro, custodisce tre musicanti da una parte e tre dall’altra, è il centro di gravità spaziale e liturgico dell’innocente consesso dei sette giovani Meistersinger.

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U. (UN CANTO)

di Alessandro Sciarroni
con Raissa Avilés, Alessandro Bandini, Margherita D’Adamo, Nicola Fadda, Diego Finazzi, Lucia Limonta, Annapaola Trevenzuoli
direzione musicale e training vocale Aurora Bauzà & Pere Jou
collaboratore training vocale Oussama Mhanna
consulenza drammaturgica e training fisico Elena Giannotti
styling Ettore Lombardi
luci Valeria Foti
suono Francesco Roti Pallone
prodotto da Corpo Celeste_C.C.00# e Marche Teatro, in coproduzione con Progetto RING (Festival Aperto – Fondazione I Teatri Reggio Emilia, Bolzano Danza – Fondazione Haydn, FOG Triennale Milano Performing Arts, Torinodanza Festival, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale), CENTQUATRE – PARIS, Festival d’Automne à Paris, Sanpapié, Maison de la Musique de Nanterre. Con il supporto di Dance Reflections by Van Cleef & Arpels. In collaborazione con Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa.

foto di apertura Andrea Macchia

Teatro Sperimentale, Ancona | 5 settembre 2025

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