Piacenza – L’organismo narrativo e visivo de Gli anni, spettacolo di danza interpretato da Marta Ciappina e coreografato da Marco D’Agostin, insignito di un doppio premio Ubu nel 2023, allo spettacolo e alla performer, è costruito con una forma composita, dove il testo si intreccia al movimento, la parola alla danza. Spezzare le due componenti comporterebbe dunque il crollo dell’intero edificio. Eppure, paradossalmente, ci pare che sia proprio la coerenza, l’esattezza, l’energia drammatica, l’elevazione morale dell’inconfondibile scrittura corporea di Marta Ciappina, a prevalere o per meglio dire a ordinare gerarchicamente il carattere frammentistico, spurio, brut della cornice costituita dall’intarsio verbale che lo struttura.

ph Michelle Davis

La non comune espressività del movimento corporeo di Marta Ciappina colpisce lo spettatore con un linguaggio così particolare, così suo, così drammatico, nel senso di già compiutamente teatrale, da postulare una propria autonomia semantica. Talché lo spettatore, senza volerlo, si percepisce quasi orfano, in preda a una sindrome da abbandono, quando ricominciano le parti verbali, che pure sono una componente costitutiva, essenziale della drammaturgia. Fin dall’inizio dello spettacolo, con una lunghissima elencazione numerica di limoni che solo alla fine, da un tenero filmino familiare, si capirà essere un gioco infantile, la cornice verbale raffredda, frena, controlla emotivamente, e comprensibilmente certo, un’autobiografia fisica emotivamente “rischiosa”. La tecnica può ricordare quella anti-narrativa del flusso di coscienza, per l’accostamento apparentemente casuale di frasi smozzicate, ricordi, reperti di amori adolescenziali, brani di telegiornali d’epoca, testi musicali, indicazioni tecnico-pedagogiche di danza (Ciappina ha una importante attività di didatta oltre che interprete). Al linguaggio parlato e scritto si aggiungono alcuni oggetti dal forte simbolismo, non immediatamente trasparente per chi non ha letto il programma di sala e non conosce la dolorosa vicenda familiare della danzatrice: uno zainetto, un telefono, un tavolino, delle cuffie, un cane, uno smartphone, uno schermo, una pistola giocattolo, mentre a terra i cartellini gialli numerati sono quelli che segnalano i reperti più interessanti di una scena del crimine.

ph Michelle Davis

Il vocabolario fisico di Marta Ciappina è fortemente connotativo. Per esempio, le braccia, perennemente mobili in varie forme e ritmi, assumono un ruolo originalmente preponderante, con quei “tocchi” intermittenti di una gestualità quotidiana e spontanea, che rendono ancora più persuasiva l’eleganza della sintassi complessiva, tesa eppure così controllata. Anche questo crea un effetto singolare, e fa sì che quando la danzatrice smette di parlare con il linguaggio verbale e riprende a farlo con il movimento corporeo, lo spettatore istintivamente protende il corpo sulla sedia e aguzza lo sguardo perché prova quel sovrappiù di energia vitale, pur nel dolore, nella gioia e nell’afflizione del dramma in corso, in cui consiste il punto più alto delle sue aspettative, correlate al tacito patto d’alleanza con l’artista sottoscritto entrando in teatro.

ph Michelle Davis

Una controprova di questo equilibrio necessario e fragile è in qualche modo la stessa natura del confronto, direi agone, tra la danza e la musica: il calderone musicale pop-rock-dance-cantautoriale assemblato in una playlist post-guerra fredda, cucito senza risparmio a mo’ di supporto drammaturgico della parola non musicata. Perché la tensione corporea di Marta Ciappina, si tratti di connettersi con le hit dance della adolescenza e della giovinezza, con il “sermo umile” della musica leggera di oggi e di ieri o con i rimmel amorosi di De Gregori, è, nella sua tensione espressiva, così autosufficiente da essere quasi indipendente e incommensurabile con la qualità del barbarico pot-pourri musicale.

Lo sopravanza e se lo lascia alle spalle, lo mette tra parentesi e lo fa scomparire, essendo soprattutto una sua musica interiore, una musica della memoria del suo corpo e del suo spirito, e cioè l’amore per il padre e per ciò che poteva essere la vita, a ispirarle quel che lei «nota, e a quel modo ch’e ditta dentro va significando”, se possiamo connettere alla autobiografia in danza di Marta Ciappina l’idea di una verità interiore, profonda, “infantile” e dunque immobile, non modificabile. Al punto che ci chiediamo se l’essenza dello spettacolo non finisca per essere sbocciata dal suo cuore fisico, ineffabile, cioè imparlabile, più che da quel prosimetron, da quella commistione con una “volgare eloquenza” che ha cementato e amalgamato la duplice volontà creatrice, dell’autore e dell’interprete.
Olindo Rampin


GLI ANNI
di Marco D’Agostin
con Marta Ciappina
suono e grafica Luca Scapellato
luci Paolo Tizianel
conversazioni Lisa Ferlazzo Natoli, Paolo Ruffini, Claudio Cirri
video editing Alice Brazzit
costruzione elementi scenici Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
promozione, cura Damien Modolo
produzione VAN
coproduzione Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni e Fondazione CR Firenze; Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa; Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale; Festival Aperto – Fondazione I Teatri; Tanzhaus nrw, Düsseldorf; Snaporazverein

PREMIO UBU 2023 Miglior Spettacolo di Danza
PREMIO UBU 2023 Miglior Attrice/Performer a Marta Ciappina

Visto il 24 gennaio 2025 al Teatro Filodrammatici di Piacenza nella stagione del Teatro Gioco Vita

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