OLINDO RAMPIN | L’odore del secolo scorso ci viene subito incontro con questa scrivania di ardesia, le carte geografiche appese, i vecchi banchi di scuola. Laura Cleri, autrice e interprete dello spettacolo prodotto dal Teatro Due di Parma, vi aggiunge alla fine anche l’odore del caffè. Lo prepara lei stessa, con due vecchie caffettiere, passo dopo passo, e lo serve in vecchie tazzine col piattino, tutte diverse. Mentre lo beve, il pubblico, vecchio e giovane, seduto ai tre lati della scena quadrata diventata, da aula scolastica, salotto, non sa che una di quelle caffettiere è un dono fatto alla narratrice da Laura Seghettini, scomparsa nel 2017, di cui Un’eredità senza testamento ripercorre l’esperienza di partigiana.

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DONNE E RESISTENZA
Questo spettacolo, come le memorie autobiografiche da cui deriva, deve essere aggiunto di diritto alle testimonianze che negli ultimi decenni hanno contribuito a ricostruire un’immagine più vera della partecipazione delle donne alla Resistenza. Relegate a ruoli subalterni, anche quando si impegnarono direttamente nella lotta armata, vittime della incapacità degli uomini di sottrarsi a una visione tradizionalista dei ruoli maschile e femminile, le donne restarono soprattutto madri, spose, sorelle, al più infermiere, staffette. La promiscuità nelle brigate partigiane è nei fatti esistita, anche se eccezionalmente, ma non è stata raccontata. Non è stata oggetto di riflessione, di un nuovo ragionamento su quanto implicava una relazione tra i due sessi che rompeva con la morale tradizionale.
La storia che ci racconta Laura Cleri ci dice invece che questa ragazza di Pontremoli, nata in una terra di confine tra Toscana, Liguria ed Emilia, la Lunigiana, non solo è entrata in una banda di partigiani tutti maschi, ma prima ha vissuto con coraggio una meravigliosa storia d’amore con il comandante, il calabrese Dante Castellucci, “Facio”, poi, dopo la oscura vicenda che ha portato i partigiani stessi ad accusarlo di furto e a giustiziarlo nel luglio 1944, ha saputo superare quella prova durissima, ha saputo combattere e imporsi, fino ad assumere ruoli di comando. Ha contrastato e vinto, così, chiusure e difficoltà su più fronti, superando i pregiudizi antifemminili trasversalmente diffusi nell’Italia di allora.

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LA PERCEZIONE DEL PUBBLICO
La traiettoria interpretativa che ha disegnato su se stessa Laura Cleri è un itinerario graduale di progressione conoscitiva ed emotiva. Partita con un piglio di energica didatta, di fervida insegnante-narratrice frontale, oracolare, l’attrice trasmigra lentamente, scena dopo scena, avvenimento dopo avvenimento, a uno stile recitativo che muta, ma senza darlo a vedere, fino a un apice espressivo, la morte tragica dell’eroe assente, “Facio”. Picco emotivo che viene gestito e controllato su un sottile crinale di condivisione con la platea, un pubblico che circondando la scena quasi esibisce la propria eterogenea composizione. Qualcuno tra i vecchi trattiene a stento la commozione, qualcuno tra i più giovani è sorpreso e imbarazzato dalla propria inesperienza teatrale e dalla natura stessa, così reale, concreta, fisica, di quel che accade a pochi centimetri da loro, non protetti da uno schermo o da una seduta lontana dalla scena. Differenza di reazioni e percezioni che non disturba, aggiunge invece problematicità alla relazione tra spettacolo e spettatori.
L’interprete ci mostra una fotografia in cui Laura Seghettini sfila sorridente, in abiti maschili, assieme ai partigiani maschi nei giorni del trionfo finale. In quel sorriso, oltre alla gioia della liberazione «dal tedesco lurco e dal fascista abietto», perfettamente e per sempre uniti dall’alta poesia di Umberto Saba, c’è anche il gusto di una conquistata autonomia femminile. Allora i comandi partigiani, per la volontà di apparire come un esercito vero e tradizionale, non volevano che le donne sfilassero, men che meno in abiti maschili e armate. Beppe Fenoglio nel 1952 era stato attaccato perché in pagine giustamente famose aveva avuto il coraggio di raccontare senza retorica i mormorii sessuofobici e moralistici della gente di Alba quando vide sfilare le partigiane in abiti maschili, nella brevissima esperienza della repubblica indipendente della città cuneese. Ecco, ora sappiamo che questa donna di Pontremoli era fatta della stessa stoffa di quelle partigiane piemontesi, raccontate dallo scrittore che ha per primo e più vividamente saputo raccontare la Resistenza così com’era.
Olindo Rampin
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UNA EREDITA’ SENZA TESTAMENTO
Liberamente tratto da Al vento del Nord. Una donna nella lotta di Liberazione di Laura Seghettini
di e con Laura Cleri
musiche Fabio Biondi
luci Luca Bronzo
consulenza storica Brunella Manotti
produzione Fondazione Teatro Due
Visto al Teatro Due di Parma
