Venezia – La bellezza del gesto, essenziale, perfetto, circolare. Ipnotico. Dove il corpo costruisce nuove spazialità ed atmosfere, in un fluire del pensiero che regala emozioni. Una volta entrati nell’universo di Tao Dance Theatre, non se ne vuole più uscire.
Ospite del festival 2025 “Myth Makers” ideato da Wayne McGregor, e Leone d’Argento alla Biennale Danza del 2023, la compagnia di danza cinese fondata a Pechino nel 2008 dal coreografo Tao Ye e dalla danzatrice-costumista Duan Ni è tornata a Venezia, a fine luglio, con la prima europea di 16 e 17, due nuovi lavori co-commissionati dalla Biennale che continuano la Numerical Series per cui sono celebri.
Conosciuta e amata a livello internazionale per il rigore formale e l’astrazione radicale con cui affronta il corpo e il movimento secondo un principio di “danza pura” che rifiuta narrazione e rappresentazione, la Tao Dance Theatre da anni lavora alla “Numerical Series”: priva di titoli, è concepita come un’opera unica in tappe, ognuna delle quali esplora un’ipotesi sul movimento attraverso la tecnica denominata “Circular Movement System”, basata su movimenti continui, curvi, senza inizio né fine, come pennellate nello spazio.
Niente specchi in sala prove, nessun riferimento esterno: la coscienza del corpo si costruisce dall’interno, attraverso esercizi che trasformano la ripetizione in atto conoscitivo. “Trattiamo il corpo come un cerchio, in estensione e contrazione – spiega Tao Ye – . Il cerchio non definisce un singolo momento, ma fa fluire il pensiero e il movimento senza interruzione. Immaginiamo che ogni singolo centimetro del corpo possa descrivere un cerchio e dare vita a infinite possibilità di movimento. Così sperimentiamo variazioni di peso, gravità e baricentro di ogni centimetro del corpo insieme al legame vitale fra lo spazio e il tempo”.

I NUMERI 16 E 17
Ideati partendo da un semplice concetto creativo e da una pura estetica del corpo, i due nuovi tasselli di “Numerical Series” mettono a fuoco, in 16 , tutti i movimenti della testa, che nelle sue aree più nascoste e meno visibili diventa perno del movimento; in 17 esplorano invece il rapporto fra forma del suono e movimento del corpo, di quella che i coreografi chiamano “un’immaginazione cinestesica del suono”.
Ecco allora che nel primo 16 danzatori si presentano in scena connessi e disposti in linea, vestiti di nero ma illuminati da una potente luce bianca che ne esalta volti e piedi: la musica, elettronica, sembra spingerli l’uno verso l’altro, in un fluire costante che li fa girare, marciare, ruotare e cambiare direzione. È un corpo unico che si muove all’unisono, si intreccia e di disperde, snodandosi in tanti “anelli” in cui teste, spalle e abiti e persino i capelli disegnano cerchi dalle forme diverse. Un’architettura essenziale, magnifica e perfetta che esalta lo spazio circolare del movimento.
Il secondo si apre con 17 danzatori stesi a terra, in una immobilità “attraversata” dal suono delle loro voci: un canto lento e avvolgente, improvvisamente interrotto dai corpi che si risvegliano, si agitano, saltano e cambiano posto, disperdendosi e riunendosi apparentemente in disordine. La voce di ogni performer si fa segnale dei pensieri e dei movimenti di tutti, si propaga dall’uno all’altro sincronizzando ogni gesto, ogni caduta, salto o intreccio. I corpi si scavalcano, si legano e si slegano, modellando onde sonore, fuochi d’artificio, caleidoscopi volanti. Una potente canzone fatta di corpi, tangibile e immaginifica.
“Tutte le nostre creazioni cercano un linguaggio del corpo umano – confermano i coreografi – È uno stato in cui la descrizione non è necessaria”. Basta solo il rigore del movimento. Rarefatto e necessario. Ogni gesto diventa così un quesito, ogni sequenza si fa esercizio spirituale che tocca l’anima. Da non perdere.
C.Ca.
