Vicenza – Se un gruppo di vecchie glorie del teatro russo di tradizione porta in scena un classicissimo Cechov, l’esito potrà essere lento, a tratti antico, ma quasi sicuramente per un pubblico che ama il grande teatro vale la pena vederlo. Fa un effetto diverso, invece, una storica compagnia sovietica come il Maly Drama Theatre di San Pietroburgo impegnata sulla scena in “The Winter’s Tale” di William Shakespeare per la regia di Declan Donnellan. Lo spettacolo – portato al Teatro Olimpico di Vicenza da Alessandro Gassman per il 64. Ciclo dei classici – risulta infatti strutturalmente poco interessante per chi vi assista nel 2011.
Il Maly Drama Theatre, fondato nel 1944, affonda le proprie radici nell’ufficialità della fu Unione Sovietica e sembra conservarne alcuni fondanti tratti estetici, più vicini al realismo impettito voluto dalla propaganda che all’anima sublime della poesia russa. Da questo impianto non esce Donnellan, che pure è indicato come uno dei maggiori registi shakespeariani del teatro contemporaneo, e con l’allestimento di “The Winter’s Tale” compie un’operazione che (vista in Italia nel 2011) risulta poco interessante.
Trasporre Shakespeare in lingua russa non è cosa banale e diventa pure un’operazione noiosa se il regista inglese, anziché impregnare la favola invernale di quella immaginifica potenza poetica che la cultura russa porta dentro, sceglie di imbacchettarla conformando la messinscena all’estetica di un universo alieno.
La mano del regista, peraltro, non sembra peraltro determinante. Perché non emerge né una caratterizzazione specifica nel rapporto con Shakespeare, né un indirizzo forte capace di far vibrare gli attori sulla scena palladiana. E se non si parlasse di fatto della più importante compagnia ufficiale di Russia, sarebbe difficile comprendere l’assegnazione del premio Maschera d’Oro come migliore spettacolo 1998.
Donnelan indica nel problema dell’identità il nucleo forte su cui ha scelto di incentrare il proprio confronto con Shakespeare, ma non sembra emergerne la problematizzazione. Anzi, l’effetto è pure banalizzante.
Rimane un interrogativo aperto sull’interesse per questa messinscena di “The Winter’s Tale”: uno Shakespeare traslato in versione russo-sovietica ha forse senso solo per chi abbia nel proprio bagaglio esistenziale quella temperie e non necessiti di sottotitoli?
Giambattista Marchetto