Brescia – “Mirror and Music non esiste nella realtà, riflette e moltiplica quello che noi vediamo o che fortemente immaginiamo, una diversa dimensione del mondo reale, pervasa di musica e luce, in cui i danzatori espongono e fanno vibrare i loro corpi”. Così Saburo Teshigawara,artista poliedrico di fama mondiale, presenta lo spettacolo creato per la propria compagnia Karas nel 2009 e presentato in prima italiana al Teatro Grande di Brescia. E il lavoro rispecchia il titolo. La musica guida e determina il percorso della visione dipanandosi in tessuto sonoro, la luce è la scenografia più potente che si fa essa stessa protagonista. E il riflesso è tutto nell’immaginazione del singolo spettatore.
A questo gioco multidimensionale si prestano sette danzatori, tra i quali lo stesso Teshigawara. Sin dall’inizio lo sguardo è condotto dalla luce, che in fasci e tagli sequenziali conduce lentamente all’apparire della scena. L’essenzialità dei costumi lascia spazio al movimento e i danzatori si trasformano in ombre dalle movenze animali: uno striscia pesante come un coccodrillo, alcune donne volano sulla scena come farfalle diafane, altri saltano con l’improvvisa e sorprendente rapidità di una cavalletta. Accade così che il coreografo suggerisca un gioco di sguardi e rimandi alle figure dell’iconografia tradizionale giapponese.
La musica, le scene, le luci – studiati personalmente da Teshigawara – plasmano la scena in una sequenza frammentata di quadri giustapposti. E il primo assolo del maestro racchiude tutta la sua poetica del movimento: il corpo è coinvolto in ogni sua parte e in tutte le sue dinamiche, dalla sospensione all’accelerazione fluida. Il gesto è un continuum precisissimo, perfetto anche quando si spezza.
Lo spettacolo diviene dunque poesia individuale. L’artista/poeta – che ha incontrato la danza dopo i vent’anni – non poteva trovare una forma espressiva più consona all’indicibile. La sua “poesia dell’umidità” e l’espressione di una magmatica “solubilità della luce” trattengono lo spettatore in una percezione individuale, quasi intima. E quando, sul finire, i sette danzatori moltiplicano lo spazio e il movimento fino a scomparire uno ad uno, rimangono due donne che continuano a iterare il movimento, due specchi che guardano uno dentro all’altro.
LC/GbM
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