Praga CZ – Non c’è nulla di morboso nella Venus in Fur di David Ives, un testo che in pochi anni ha attratto interpreti di primo piano sulla scena britannica e statunitense, ma anche in Italia. C’è anzi una costante rincorsa tra intensità emotiva e ironia dissacrante, una passione per il farsi teatrale, una incalzante pressione sugli attori che sono costretti a schizofrenici sbalzi di umori e registri a tutto beneficio del pubblico, che può godere di una commedia intelligente e raffinata.
Lo spettacolo – nella versione portata in scena dalla Prague Shakespeare Company nella capitale boema – è un accavallarsi di piani e dinamiche contrastanti e complementari che stupisce lo spettatore, anche quando potrebbe aspettarselo.
Teatro e meta-teatro risultano forse categorie semplificatorie, ma fanno gioco nella descrizione dell’architettura di un testo che a tratti spiazza per la fluidità con cui induce gli interpreti ad entrare e uscire dalla parte – ovvero dall’interpretazione della messinscena che è il perno dell’opera.
Ives presenta sulla scena Vanda, una stravagante attrice dal talento nascosto dietro una patina di volgarità pop, che proprio grazie ad una irruenza potente riesce a conquistare prima un’audizione fuori tempo massimo con il regista-drammaturgo Thomas e successivamente a scardinarne l’approccio ordinario all’opera.
Il testo che fa da perno alla rappresentazione è appunto la Venus in Fur di Leopold von Sacher-Masoch, centrato sull’incontro tra uno scrittore e la donna che diventerà la sua dominatrix. Giocando sull’originale e sulle provocazioni che il padre del masochismo dissemina nel testo, incrociandolo con brandelli di esistenza extra-teatrali, nell’audizione Vanda e Thomas vanno oltre ogni regola di finzione e si trovano a giocare una elettrizzante rincorsa tra verità e rappresentazione, tra ironia e violenza, tra dolcezza e perfidia. Il confine tra fantasia e realtà diviene poroso e i due interpreti scivolano sul crinale tra potere e seduzione, tra sesso e amore, in un climax che culmina in un gioco di dominazione e sottomissione incrostato di una teatralità vorace e potente.
Senza mai essere eccessivo o imbarazzante per il pubblico, il gioco è anzi fonte – per chi ne segue dall’esterno le montagne russe emotive – di un divertimento mai banale, a tratti pure intellettualistico.
Gli interpreti della Shakespeare Company – Jessica Boone e Guy Roberts nella versione inglese – riescono a tenere l’atmosfera sospesa nell’oscillazione tra tensione emotiva e risata ironica. Con una straordinaria versatilità trasfigurano il proprio personaggio teatrale in quello metateatrale, giocano su cambi velocissimi, a tratti spiazzando lo spettatore che esce quasi stremato dalla sala dopo un’ora e mezza.
Roberts, che è anche regista di questo allestimento, ha paragonato la figura di Vanda a quella di Hedda Gabler o di Nora, ma anche di Giulietta shakespeariana. Un grande ruolo femminile, in un gioco di coppia che vive di suspense e ironia. E in questo il regista tributa un omaggio allo Shakespeare di Hamlet, che unisce ritmo incalzante e momenti di puro divertimento nell’enfasi sulla follia del principe di Danimarca. Un percorso dettato dall’esperienza classica di Roberts e Boone e che è stato messo a frutto con un esito davvero interessante.
visto al Divadlo Kolowrat di Praga