Padova – Il nodo critico che Bertolt Brecht affronta ne “La resistibile ascesa di Arturo Ui” – con il distacco di un etologo che guardi un microcosmo sociale introducendovi il paradosso – non è solo il meccanismo perverso di un potere corrotto, ma soprattutto l’effetto di condiscendenza miope e di radicale complicità che si configura attorno a una dittatura. È un passaggio che il drammaturgo disegna in un susseguirsi di scarti progressivamente più grotteschi e amari. Di quel fondo così terribilmente verosimile si perde parzialmente la crudezza tagliente nell’allestimento diretto da Claudio Longhi e interpretato nelle vesti di protagonista da Umberto Orsini assieme a una compagnia di giovani (e abili) interpreti.
Lo spettacolo – passato al Teatro Verdi di Padova – è costruito come un’opera di teatro musicale che si avventura fino ai siparietti da rivista, con movimenti coreografati, testi in forma di canzone, melodie corali e rapide evoluzioni scenografiche. Con bravura, il cast spinge sull’acceleratore della farsa e costruisce un affresco ironico e amaro dei rischi che stanno dentro le deviazioni del potere. Seguendo Brecht ed enfatizzandone gli effetti parodistici, Longhi ricrea una Chicago anni Trenta nella quale un gangster si afferma come leader politico seguendo le tappe dell’ascesa che fu storicamente di Hitler.
Risulta forse didascalico l’accostamento costante (con sopratitoli) tra i personaggi di Brecht e le figure storiche dei gerarchi nazisti, però l’esplicitazione del parallelismo rende plausibile anche un progressivo transfert ermeneutico verso l’universale – perché il potere malato non ha luogo né tempo – e dunque anche verso il contemporaneo. Orsini è un Ui-Hitler molto manierato, anche nel momento in cui interpreta se stesso, mentre i comprimari danno caratterizzazioni molto marcate e monocordi ai propri personaggi. E il pubblico dimostra di apprezzare.

Giambattista Marchetto

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