Venezia – Fantocci che vestono la carne di una umanità incrostata di buio e disperazione, piccoli goylem sudici usciti da scantinati senza luce popolano la scena desolata del “Woyzeck ou l’ebauche du vertige” di Josef Nadj.
Lo spettacolo (in repertorio da 15 anni) è stato invitato alla Biennale Teatro e si è rivelato senza dubbio uno dei momenti più significativi del Festival. Nella luce oscura di una scena stretta, una scatola magica come in una proiezione da film muto consumata dal tempo, si muove un’umanità deforme e grottesca. Di un grottesco, però, densamente poetico e quasi corroso da una tristezza atavica.
C’è un sentire dolcemente espressionista in questo intenso e iconograficamente potente lavoro di Nadj, c’è una bruttezza mai brutale nonostante la morte, l’oltraggio, la violenza. E l’opera finisce per essere un piccolo gioiello (con solo lievi imperfezioni) per un momento teatrale intimo e delicato.

Giambattista Marchetto

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