Schio VI – Amleto fool e grottesco, squadrato con l’occhio della modernità e riportato allo stato barbaro di animale ferito. Lo racconta così il Teatro del Carretto, che sceglie di prendere alla lettera il testo shakespeariano, rispettando la scansione delle parti che porta in scena, ma fa vibrare sulla scena un dramma improntato all’ironia non-naturalistica. Denso di paradossi e pensato secondo un’architettura drammaturgica peculiare, come in un gioco grottesco e malato, “Amleto” del Carretto – visto a Schio – interpreta Shakespeare come un puntello per raccontare bassezze carnali e ipocrisie sentimentali. E tutto sembra già scritto, come da un destino cieco e vile, in quel piccolo palchetto di burattini che si affaccia sul proscenio.
In tutto questo movimento anti-cosmico, gli ottimi interpreti danno corpo e voce al paradosso. Tutti sono concentrati sull’esagerazione come specchio ironico della decomposizione del mondo – merita una citazione la danza degli scheletri a ridosso del ‘to be or not to be‘. Solo il protagonista sembra prender sul serio quello che avviene oltre la ribalta e questo lo rende alieno, melodrammatico e un po’ pedante in mezzo a una corte danese stralunata.
Lo spettacolo, in conclusione, merita attenzione proprio per questo rovesciamento, che conferma la forza degli allestimenti della compagnia toscana.
Giambattista Marchetto
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