Padova – “Ogni conoscenza è preziosa, che abbia o meno una qualche utilità per l’essere umano”. Si potrebbe adottare questo aforisma di A.E. Houseman come chiave di lettura per “The History Boys” di Alan Bennet, che nella versione italiana di Teatridithalia diretta da Ferdinando Bruni e Elio De Capitani ha mantenuto brio, ironia pungente e grande forza d’impatto emotivo, confermando il successo della versione Uk (6 Tony Award) nell’entusiasmo di pubblico e critica.
In effetti lo spettacolo – visto al Teatro Verdi di Padova – regala una straordinaria densità di parole, sorrisi, emozioni, suoni e poesia in tre ore che mantengono un ritmo perfetto. La drammaturgia compone con leggerezza magistrale, per nulla artificiosa, citazioni letterarie e musica pop, Wittgenstein e La Vie en Rose, Max Steiner e la critica storica e Rachmaninov. Il passaggio in italiano non fa perdere il gioco verbale grazie alle scelte di traduzione, ma soprattutto per la bravura degli interpreti: uno strepitoso De Capitani nei panni del bizzarro prof Hector, maestro di vita col “vizietto” di palpeggiare i discepoli; Ida Marinelli, Gabriele Calindri e Marco Cacciola gli altri prof; otto bravissimi giovani talenti, usciti di fresco dalle scuole di recitazione di mezza Italia, capaci di dare corpi e voci ben calibrate ai protagonisti che lasciano la scuola per orientarsi verso il college.
Erudita ironia e acuta durezza caratterizzano il testo di Bennet, che sorprende per alcune battute fulminanti così come per la tenerezza con cui tratteggia personaggi mai banali. E per parte loro gli attori dimostrano di aver lavorato sullo spessore dei sentimenti e delle pose, senza enfasi ma lontani da ogni piattezza. Mescolando T.S. Eliot e Shakespeare, Auden e Larkin, il racconto di formazione (che al grande pubblico può ricordare L’attimo fuggente) approfondisce riflessioni sulla Storia e cuce brandelli di piccole storie intime, attraversa con delicatezza omofobia e pedofilia, mistifica ed esalta letteratura e pedagogia.
Ne esce una riflessione non pedante sulle radici della cultura inglese e occidentale e sul pensiero di una classe dirigente cresciuta tra valori e “giornalismo” (vissuto come sinonimo di banalità). Uno spettacolo da vedere e applaudire. Un Premio Ubu davvero meritato.

Giambattista Marchetto

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Un pensiero riguardo “Il patrimonio scomodo e affascinante della poesia

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