Padova – C’è una tristezza giocosa nascosta nelle pieghe de “La Commedia” di Emio Greco e Pieter C. Scholten, che congiunge la composizione cosmica dantesca con una visionarietà circense, mescola vizi capitali e virtù teologali, aprendo un discorso dialettico con la quotidianità dei giorni ordinari e frenetici.
Lo spettacolo – passato al Teatro Verdi di Padova nel cartellone di Prospettiva Danza Teatro – vibra di una vitalità intensa che si fa movimento. È l’energia la cifra dominante di un lavoro multiforme e sornione, che diverte facendo sintesi tra passi di danza e acrobazia, che esorcizza la rigidità di un impianto coreografico monocorde con una drammaturgia che ricalca l’andirivieni precario dei numeri sotto lo chapiteau.
Pesa l’assenza di Victor Callens, ballerino magnifico che nella replica patavina è stato sostituito (nella parte, ma non nel movimento) da Neda Hadji-Mirzaei. Ma al di là di questo “buco”, i corpi dei danzatori, così diversi per struttura e stile, si lanciano sull’arena cogliendo le provocazioni propri vizi e traslitterandole in movimento frenetico, guizzante, sempre fluido e a tratti irriverente, tra swing e barocco, rock e disco music. Pur rimandando all’immaginario del circo, “La Commedia” ha la struttura di un concerto jazz: mentre il tessuto sonoro e visivo viene assorbito con irridente nonchalance dal collettivo, i singoli danzatori i staccano per i loro assoli sotto i riflettori.
Lo spettacolo rivela una (comica) coerenza stilistica che a tratti si carica di eccessi ricercati per un espressionismo da lustrini e pailettes, un po’ fetish e un po’ felliniano tra un capocomico con la frusta e una poggia dorata a festeggiare la domenica (il giorno danzato da Emio Greco), perché se i vizi che corrispondono ai primi giorni della settimana sono fastidiosi, quelli che si scoprono nel weekend sono goderecci. E alla fine la vitalità del collettivo diverte chi cerca la danza e chi apprezza la struttura fortemente teatrale.
Quello di cui si sente la mancanza, invece, è uno spessore prospettico che vada oltre l’iconografia ammiccante sulle tematiche della Divina Commedia. Lo spettacolo si propone come un “gioco” e come tale rimane sul filo della superficie, senza guadare alla densità simbolica e di senso. Allo stesso tempo quell’espressionismo alla Greco non ha la carica di tristezza circense né il senso di realtà ferito che ci si potrebbe aspettare. È come abbozzato, in una sorta di provocazione infantile che non chiede mai allo spettatore di mettersi in gioco, ma si limita a divertirlo.

Giambattista Marchetto

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