Venezia – Il riferimento è alto e le contraddizioni cruciali che Borges affronta nella sua Biblioteca di Babele sono una sfida carica di tensione intellettuale. Anche per Ismael Ivo, direttore della Biennale Danza, che ha scelto di inaugurare il Festival 2012 con la sua rilettura nella forma di una Biblioteca del corpo.
Un lavoro, quello di Ivo, giocato sulla suggestione delle visioni. Complice la potenza del Teatro alle Tese all’Arsenale, una imponente teoria di scaffali-loculi offre la visione di corpi rinchiusi, agitati come in un alveare febbricitante. Soffocati e inchiodati a una mobilità malata, muscoli e ossa e nervi si contraggono per dirimere una vitalità dissonante, si capovolgono nel tentativo apparentemente triviale di raccogliere un respiro, di trovare un impossibile punto di fuga.
L’ordine brulicante di corpi prigionieri si spezza (rumorosamente) con il diaframma vetroso che lo conteneva. Eppure non è una vera liberazione: la libreria si trasforma in termitaio da cui i corpi escono ed entrano. E si tratta di epifanie volatili, modulate in movimenti animali che si accavallano e scuotono lo spazio.
In questa Babele di fisicità – a tratti compulsivamente asincrona e a tratti meditata – lo spettacolo mostra i limiti di un rodaggio incompleto. E se nella componente maschile l’articolazione espressiva è nel complesso più pulita, con alcuni picchi nell’esibizione di una fondante formazione classica, la parte femminile del gruppo di allievi dell’Arsenale della Danza coglie le suggestioni di Ivo, ma le sviluppa con minore efficacia.
Quanto al progetto coreografico, Ivo si propone di individuare l’unicità di ogni corpo/libro pur nel disegno cosmico che annovera funzioni e disfunzioni, che comprenda perfezione e imperfezione. In questo senso il maestro sembra attento più al percorso che i giovani danzatori compiono per capirsi, che alla capacità di dare movenze compiute e precise al messaggio che lasciano allo spettatore.

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