Venezia – Aristotele innesta nella sua Fisica una riflessione dedicata all’anima, che in quanto “forma incorporata nella materia” non è oggetto di riflessioni astratte. E per definirla conia il concetto di entelechia, il “fine interno” che gli organismi hanno scritto nel proprio Dna – diremmo oggi – e che ne informa il movimento come “atto primo”. Virgilio Sieni muove dal testo aristotelico per affrontare un interrogativo sul senso del movimento, offrendo una chiave ironica e delicata come evidenza dell’intimo.
Il suo De anima – in prima assoluta alla Biennale Danza – è un gioiello raffinato e ironico, intimo e di una precisione mai forzata. Ogni movimento appare inscritto in un quadro di levità meditata, densa di rimandi all’immaginario degli arlecchini picassiani, ma per cesello e precisione forse più vicina ai capricci settecenteschi. Lo spettacolo sembra sintetizzare un respiro giocoso, con qualche accenno alla clownerie, e una capacità di astrazione metafisica. Sieni prende per mano i corpi che vivono e pensano, per stare alle funzioni aristoteliche, e li proietta sulla scena come piccoli esperimenti di equilibrio. I danzatori rincorrono un’ombra, un filo d’aria, uno scarto armonico minimo o anche un silenzio teoretico per raggiungere un punto vuoto, inutile come gli altri. È una sintesi di allusioni in vitro, per tentare di catturare un discorso sull’anima e dunque sul senso di ciò che vive.
Il coreografo però non sembra concentrare l’attenzione sulla funzione intellettiva, che è propria dell’uomo, ma sembra attratto più da quella che Aristotele indica come la “funzione sensitiva”, che comprende sensibilità e movimento, ma non per questo la dialettica dei corpi viene limitata. Anzi, questo De anima è un costante rimando di slanci e sospensioni: i danzatori piombano sulla scena e si compongono in un’icona tanto ieratica quanto instabile. Sembrano cercare non una posizione, ma “la” posizione che rappresenti l’equilibrio e che li renda sintonici. I giochi coreografici elaborati da Sieni alternano movimenti sincronici e speculari, oltre a liberare l’energia individuale, in un concerto morbido e precisissimo di stati dell’anima o di impressioni danzate. E accanto ai corpi che incarnano i passi, il coreografo inventa un’ironica ombra nerovestita che accompagna e irride quegli stessi corpi che dovrebbero averla generata.
Ancora una volta Sieni è maestro di equilibrio poetico e utilizza con sapiente leggerezza le tensioni e le linee dei corpi, mescolando Bach e il silenzio, per arrivare a sparigliare le carte con un finale squassato dai Rolling Stones. Come in un gioco delle vanità.
