Milano – A un anno dall’inaugurazione delle Gallerie di Piazza Scala, Intesa Sanpaolo porta a compimento il proprio progetto culturale con l’apertura di un nuovo spazio espositivo nel palazzo che fu sede storica della Banca Commerciale Italiana.
Cantiere del ’900 è il nuovo progetto espositivo proposto nelle Gallerie di Piazza Scala, dedicato alla presentazione delle opere del “secolo breve” nelle collezioni di Intesa Sanpaolo. Curato da Francesco Tedeschi, questo primo allestimento espositivo presenta una selezione delle opere più significative dei protagonisti e delle tendenze dell’arte italiana nella seconda metà del XX secolo. Sono 189 opere – fra dipinti, sculture, fotografie e altre tecniche artistiche esplorate nel secolo scorso – e propongono una visione multiforme della ricchezza delle direzioni di ricerca nelle quali l’arte di questo importante periodo ha raggiunto, in ambito italiano, livelli di eccellenza sul piano mondiale.
Nei luminosi ambienti al piano terra del palazzo di inizio Novecento – rivisitati dall’architetto Michele De Lucchi – l’allestimento propone un percorso in dodici sezioni e due ouvertures con opere realizzate secondo le diverse tecniche e poetiche proprie dell’arte del secondo dopoguerra, suggerendo un dialogo fra scultura e pittura – o tra forme plastiche e rappresentative – e fra i poli della ricerca artistica in Italia, in primis nel confronto fra l’ambito milanese e quello romano.
Il filo conduttore di Cantiere del ’900 traccia un percorso nell’arte italiana dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, che evidenzia le correnti dell’astrazione, dell’informale, delle sperimentazioni formali e tecnologiche, delle diverse configurazioni di nuove potenzialità espressive e di rappresentazione dell’uomo e della società del proprio tempo.
La situazione dell’immediato dopoguerra e degli anni Cinquanta è ricostruita a partire da una rilettura degli sviluppi di un’arte che tende a risolvere la contrapposizione tra realismo e astrattismo, con opere di Afro, Alberto Burri, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, per passare a considerare il ruolo di Lucio Fontana (rappresentato da un nucleo di nove opere) nei confronti delle correnti d’avanguardia dello Spazialismo e dell’Arte Nucleare, attive a Milano e in altri centri della penisola negli anni Cinquanta; si passa quindi ad affrontare le ricerche che vanno all’insegna dell’astrattismo “concreto” del MAC (Movimento Arte Concreta) e il ricco panorama dell’informale.
Il passaggio dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta è preso in considerazione attraverso la nuova attenzione a una concezione della pittura che diventa traccia di azioni fisicamente dirette a modificarne la natura, come quelle attuate da Piero Manzoni, Enrico Castellani o Toti Scialoja, ma anche per le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, di dar vita a un’arte “programmata” o “cinetica”.
Il clima degli anni Sessanta è interpretato attraverso l’attenzione per le nuove possibilità di narrazione e di valorizzazione delle immagini attraverso l’influenza dei mass media, che costituiscono i punti di riferimento per le posizioni di artisti che si muovono tra nuove forme di realismo e inclinazioni pop, come Achille Perilli, Gastone Novelli, Mario Schifano, Valerio Adami, Gianni Bertini. Le nuove avanguardie della seconda metà degli anni Sessanta sono prese in esame nelle sezioni dedicate agli autori che hanno partecipato alle manifestazioni dell’Arte Povera e alle declinazioni verbo-visive di carattere concettuale.
La scultura, ampiamente presente in tutto il percorso, oltre a costituire un elemento introduttivo alle diverse sale nelle opere di Mauro Staccioli, Alik Cavaliere, Ettore Colla, Nicola Carrino, Mario Ceroli, Pino Pascali e Giuseppe Maraniello, propone un’occasione di riflessione sulle relazioni con lo spazio nella sala dedicata alle “ipotesi costruttive” (dove sono raccolte opere di Gianfranco Pardi, Giuseppe Uncini, oltre che di Rodofo Aricò).
Il percorso espositivo si conclude con le situazioni emerse fra gli anni Ottanta e Novanta, che costituiscono la base di una più vicina attualità, all’interno di una visione che si vuole aperta e in divenire, com’è il carattere di un “cantiere”.
In occasione del primo allestimento di Cantiere del ’900, vengono presentati due itinerari monografici. Il primo, intitolato Il colore come forma plastica. Percorso attraverso una forma di astrazione approfondisce – in un percorso critico originale – un argomento di grande interesse scaturito dalle ricerche cromatiche di Giacomo Balla e del Futurismo: quello di un’astrazione del colore che ha spinto la pittura a essere una presenza fisica nello spazio, secondo una linea essenzialmente formale, che ha avuto il suo fulcro nell’opera di Piero Dorazio e del Gruppo Forma 1, di Giulio Turcato e di altri autori del secondo dopoguerra.
Il secondo approfondimento riguarda una delle installazioni più significative elaborate nell’arte degli ultimi decenni, L’ora italiana di Emilio Isgrò, che ricorda uno degli episodi più tragici della recente storia italiana, la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Nei venti tondi di cui è composta l’opera affiorano frammenti di immagini di vita quotidiana colta nelle strade della città in quel periodo, parzialmente cancellate dal colore bianco che ne modifica la leggibilità. Con l’accompagnamento di un crescente ticchettio di orologio e la modificazione delle condizioni luminose, l’insieme assume un carattere “teatrale”, che suscita emozione e tensione.