Venezia – Il diritto (lo ius) è l’arte del bene e dell’equità – sosteneva Ulpiano, tra i fondatori del diritto romano. Eppure definire cosa sia bene e cosa sia equo è difficile quanto reggere il confronto con il senso comune, l’opinio populi, il silenzio della ragione.
In questa zona oscura che incarna le contraddizioni della democrazia si innesta la riflessione che il regista tedesco Thomas Ostermeier apre in dialogo con Ibsen nella messinscena de Un nemico del popolo.
La sua messinscena del dramma politico intessuto dal drammaturgo svedese è trasposta in un contesto “normale” da ventunesimo secolo, fatto di paradossi e disimpegno, ma anche di tensioni etiche e contraddizioni. Fortemente contestualizzato in una ambientazione molto tedesca – sotto il profilo sociale, ma anche perché solo in Germania la riflessione teorica intesse un dialogo così sofisticato con il quotidiano – lo spettacolo raccoglie le provocazioni del testo di Ibsen, a cui rimane comunque fedele, amplificandone la portata di analisi sociale con una sorta di provocazione escatologista.
Ecco allora che il crescendo di tensioni, che si disegna in scena con una pregevole pulizia stilistica grazie all’interpretazione quasi sempre rigorosa degli attori, culmina con un momento assembleare. Un’occasione preziosa per fare della desueta “quarta parete” un diaframma dialettico e portare il pubblico non a un banale coinvolgimento subìto dai teatranti, ma ad un intervento diretto che vede gli attori nella posizione di provocatori. Emergono allora parallelismi con il caso Ilva di Taranto o con Porto Marghera, con i disastri ambientali che hanno segnato l’arco alpino e con alcune situazioni-limite in Sardegna (per rimanere in Italia).
L’esito peró non è così scontato, perché se è vero che l’appello alla ragionevolezza come chiave di volta della democrazia viene recepito in chiave farisaica dentro un teatro, ma poi quando si fanno i conti con la realtà le dinamiche possono cambiare. Accade così che nel finale il “nemico del popolo” di Ibsen si trovi nella piacevole/spiacevole situazione di poter approfittare dei frutti della propria dirittura morale in maniera probabilmente immorale. Emblematico l’interrogativo che rimane sospeso, aperto alla corruzione di un’anima che, cercando il buono e l’equo per la comunità, ha scoperto che la società non ha memoria né coerenza e, tutto sommato, non ha voglia di spendere energie per ciò che è buono e giusto.
Giambattista Marchetto
visto al Teatro Goldoni di Venezia, nel programma del 42. Festival Internazionale del Teatro de La Biennale
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