Venezia – Come affrontare una delle opere miliari della letteratura barocca spagnola coinvolgendo una compagnia giovane e senza cadere in aulismi eccessivi? Se il vostro nome è Lluís Pasqual l’interrogativo non è banale, perché un allestimento di brutale rottura non sembra essere nelle vostre corde, ma soprattutto perché ai requisiti di cui sopra si aggiunge la fedeltà al testo.
È qui che Pasqual ci stupisce, portando alla Biennale Teatro uno spettacolo – El caballero de Olmedo – che non sarà certo ricordato come il suo capolavoro, ma che ha il pregio di restituire con semplicità disarmante la complessità musicale dei versi di Félix Lope de Vega. All’autore seicentesco, aedo di una Spagna fiera e caliente, più simile al Far West che alle corti europee, il regista fa spazio portando nella messinscena una scenografia fatta di nulla, costumi e oggetti di scena davvero minimal, una componente musicale forte e accattivante. Agli interpreti della Joven Compañia Nacional de Teatro Clásico il compito, facile solo in apparenza, di dare voce e corpo alle parole dell’opera. La partitura assume dunque un ruolo centrale, tra slanci lirici e momenti ironici, accompagnati dal flamenco musicato e cantato dal vivo da Pepe Motos.
Nelle note di regia Pasqual riferisce di uno sguardo contemporaneo sull’opera di Lope de Vega, leggendo nelle vicende del Caballero una metafora del razzismo e del l’intolleranza per il diverso. Per fortuna questo non porta alcun appesantimento e il testo viene mantenuto nella libertà di raccontare i sentimenti con passione, dramma e anche un po’ di leggerezza.
visto al Teatro alle Tese di Venezia – Festival Internazionale del Teatro della Biennale di Venezia