TSV_La Cativissima di Natalino Balasso_foto di Serena Pea (1)Venezia – Ci sono tracce depotenziate di Quentin Tarantino in salsa padana, innesti evidenti dalla mitopoiesi della tragedia antica, citazioni dai social network e dalla Tv commerciale, qualche ammiccamento (parodistico) a ‘Il Caimano’ o a ‘La grande bellezza’ nel nuovo spettacolo di Natalino Balasso prodotto dal Teatro Stabile del Veneto. La Cativissima – Epopea di Toni Sartana strizza l’occhio a un immaginario da spaghetti western, ma ha i toni strettamente venetici di una Mala volgarotta e banale.
Balasso disegna i contorni di un intristito Nordest, banalotto e intriso di contraddizioni. Più precisamente di una venetissima Regione chiamata Serenissima, che confina con la Regione Giulia, nella quale politica e malaffare più che inciuciarsi di fatto coincidono. E così il vecchio rapinatore appende la pistola al chiodo e si butta in politica con un obiettivo preciso: diventare Assessore ai Schei. Perché è ovviamente intorno ai soldi che gira tutto: discariche e ospedali, inceneritori e villette, amanti usa-e-getta, campagne elettorali e voti di contrabbando.
L’arrembante Sartana, impersonato dallo stesso Balasso, scala rapidamente la piramide socio-televisiva di questa terra preda di corruzione e finzioni multimediatiche. Attorniato da una corte dei miracoli di sciacquette e picchiatori da stadio neofascisti, politicanti accattoni e megere della Bassa, il protagonista non ha scrupoli al di sopra del bassoventre e gioca ogni possibile bluff, imponendo tasse sulle tasse e svendendo la dignità di ogni metro quadrato di terra. Incalzato dalla moglie, bassofondo di Lady Macbeth, commette ogni sorta di tradimento anche a scapito di parenti e amici.
TSV_La Cativissima di Natalino Balasso_foto di Serena Pea (2)Accanto al regista, in scena c’è un quintetto di attori – Francesca Botti, Marta Dalla Via, Silvia Piovan, Andrea Pennacchi, Stefano Scandaletti – che lo stesso Balasso dice essere “miei coadiutori, quindi anche loro un poco registi”. I personaggi sono semplici, quasi banali. Dal Sartana giù fino all’ultimo dei comprimari. A loro il compito di rappresentare un microcosmo umano che si sfaccetta e si moltiplica, come tante maschere nelle quali – precisa Balasso – lo spettatore, colpito insieme allo stomaco e al cervello, troverà un poco di se stesso.
La recitazione, quasi surreale, punta a un approccio diretto e quasi brutale con la platea. Teatro popolare pensato per far ridere attraverso un umorismo carico di sarcasmo ghignante. Certo l’ispirazione all’Ubu Re di Jarry è ambiziosa, ma in effetti la ricerca volgare di un potere fine a se stesso ne ricorda le miserie e la crudeltà. Ecco allora che il semiserio Sartana subisce rovinose cadute, ma avendo – per dirla con Balasso – la consistenza dei pupazzi di gomma, finisce per cascare sempre in piedi.
L’epopea è dunque commedia amara, con il limite forse di essere così vicina alla realtà da risultare banalizzante, perché il pubblico – per quanto possa esser sedato dalla somministrazione di ingenuità televisive – fa troppo poca fatica ad assimilare i politicanti corrotti o smidollati sul palcoscenico a quelli che sfilano a Porta a porta, e il passo è breve tra il fascismo ridicolo e brutale della finzione e i comizi della piazza accanto.

visto al Teatro Goldoni di Venezia

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