Udine – L’hanno definito una «sinfonia a tratti seria e a tratti isterica su una grande città». E in effetti lo spettacolo “Berlin Elsewhere” di Costanza Macras, che ha inaugurato la stagione del trentennale di Teatro Contatto a Udine, è un affresco ipertrofico nel quale si mescolano una una scomposizione instabile della morte del cigno bianco, un’orgia mimata (senza nemmeno una scena di nudo, cosa rara per la scena odierna) con finale in coro a cappella su un gonfiabile che rimanda al la “nave dei folli” di Focault, performer travestiti da arredi di design che cantano i Nirvana.
La coreografa-regista argentina (dal 1995 a Berlino) non si turba all’idea che la compresenza di azioni, interpreti, suoni, visioni sulla scena costringa lo spettatore a scegliere su cosa concentrarsi. Così “Berlin Elsewhere” (che non è uno spettacolo sulla capitale tedesca) lanciare una dirompente riflessione per accumulo di materiali sulle relazioni tra follia e normalità, normalità e omologazione, diversità e democrazia, follia e diversità. Con un’ironia graffiante e a tratti irriverente, la Macras (con la drammaturga Carmen Mehnert) mette a nudo le contraddizioni di un mondo che viola l’intimità negli aeroporti e oltraggia i diversi, che nell’epoca globale non ha ancora metabolizzato la dialettica bianco/nero, gay/etero, Oriente/Occidente.
I 12 performer della compagnia Dunky Park corrono e dialogano a perdifiato: le parole dense di ironia si sovrappongono alla danza, fatta di gesti spezzati e violati ma con grande rigore, tra cambi di costume e impatti fisicamente potenti con le scenografie urbane in gommapiuma. La musica dal vivo si fa nenia o rumore, guida o insegue i corpi che non si danno tregua, mentre sullo sfondo scorrono immagini video. Tutti i performer danzano, recitano, cantano senza dilettantismi. È un gioco straordinario, sexy e irriverente. Il linguaggio danzato e parlato è sboccato e dolce ad un tempo, mescola convulsioni e fouettés, è vivo e denso e forte e vero. Il lavoro della Macras dialoga con il contemporaneo ad altezze incomparabili rispetto a registi approssimativi, banali, fintamente rabbiosi e dirompenti. E l’esito è un lungo meritato applauso che rivela la grande forza delle sue immagini nel toccare il pensiero e l’intimo dello spettatore.

Giambattista Marchetto

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