bembo_ritrattoPadova – Pietro Bembo è una figura poliedrica nell’Italia del Rinascimento. Veneziano di nascita, padovano di elezione, di casa nella Roma dei Papi, fu molte cose insieme e tutte al massimo grado. Fu poeta, storiografo e bibliotecario della Repubblica Veneta. Con Aldo Manuzio rivoluzionò il concetto di libro, curando volumi di classici di piccolo formato privi di commento, che potessero essere letti al di fuori delle aule universitarie. Influenzò in modo determinante la letteratura rinascimentale. Amò donne bellissime come Lucrezia Borgia e cantò l’amore, non solo platonico, negli Asolani e nei Motti. A sessantanove anni fu nominato cardinale da Papa Paolo III e pose le basi per la leggendaria Biblioteca Vaticana. Fu amico di artisti come Raffaello e Michelangelo, guida e protettore di Giovanni Bellini, Sansovino, Sebastiano Dal Piombo, Tiziano, Benvenuto Cellini, Valerio Belli, di cui collezionò e spesso ispirò le opere.
Alla sua figura straordinaria la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo dedica – dal 2 febbraio al 19 maggio, a Palazzo del Monte di Pietà in Piazza Duomo, a Padova – la mostra Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento, che riporta a Padova, dopo cinque secoli, i capolavori della collezione che l’intellettuale  aveva riunito nella propria casa, ancora esistente nell’attuale via Altinate.
Qui, negli anni padovani di Bembo, ovvero a partire dai primissimi anni Trenta del Cinquecento erano concentrati dipinti di grandi maestri come Mantegna e Raffaello, sculture antiche di prima grandezza, gemme, bronzetti, manoscritti miniati, monete rare e medaglie. La ricchezza e varietà degli oggetti d’arte, raccolti per gusto estetico ma anche come preziose testimonianze per lo studio del passato, rese agli occhi dell’Europa del tempo la casa di Bembo come “la casa delle Muse” o “Musaeum”, precursore di quello che sarà il moderno museo.
Per una breve stagione, proprio grazie all’influenza di Bembo e al suo gusto collezionistico, Padova divenne baricentro e crocevia della cultura artistica internazionale, perché in città prendeva vita qualcosa di inedito che avrà enormi ripercussioni nei secoli a venire, la nascita di una nuova tipologia di raccogliere e presentare non solo l’arte, ma la conoscenza stessa: il Museo, termine che da allora diviene universale. Dopo la morte di Bembo i capolavori vennero venduti dal figlio Torquato e si dispersero nel mondo ed oggi sono conservati nei grandi musei internazionali, che li hanno concessi eccezionalmente in prestito in occasione della mostra padovana.

tizianoIl titolo dell’esposizione riporta all’Italia sul finire del Quattrocento, quando la penisola è frantumata in piccole corti e centri di potere. Ad un paese in piena crisi politica e militare, Bembo offre una identità comune in cui riconoscersi. Egli è infatti fautore di un’idea di unificazione dell’Italia a partire dalla creazione di una lingua nazionale: nelle Prose della volgar lingua, pubblicato nel 1525, Bembo codifica le regole dell’italiano, fondandolo sugli scritti di Petrarca e Boccaccio.
Sul versante dell’arte, Bembo indica Michelangelo e Raffaello come campioni di un nuovo, rivoluzionario fare artistico, che egli vede simmetrico a quanto accade nel campo della letteratura. Coglie infatti nel loro procedere creativo una nuova “lingua dell’arte” basata sulla grandezza dell’arte romana antica, e che ricerca una perfezione senza tempo e senza connotazioni regionali: un linguaggio universale che sarà riconosciuto nei secoli a venire come quello del Rinascimento italiano.
Grazie a Bembo, Michelangelo e Raffaello un’Italia suddita delle grandi potenze sul piano militare, trionfa in Europa conquistando il primato con le armi dell’arte e della cultura.
La mostra Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento racconta questa affascinante epopea, attraverso i capolavori da Mantegna a Raffaello, da Giovanni Bellini a Tiziano che Bembo collezionò, o che vide creare, spesso contribuendo alla loro ideazione.

www.mostrabembo.it

 

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